Antonello da Messina

Antonello da Messina, soprannome di Antonio di Giovanni de Antonio (Messina, 1430 – Messina, febbraio 1479), è stato un pittore italiano.

Fu il principale pittore siciliano del Quattrocento, primo nel difficile equilibrio di fondere la luce, l’atmosfera e l’attenzione al dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità e la spazialità razionale della scuola italiana. I suoi ritratti sono celebri per vitalità e profondità psicologica.

Durante la sua carriera dimostrò una costante capacità dinamica di recepire tutti gli stimoli artistici delle città che visitava, offrendo ogni volta importanti contributi autonomi, che spesso andavano ad arricchire le scuole locali. Soprattutto a Venezia rivoluzionò la pittura locale, facendo ammirare i suoi traguardi – ripresi poi dai grandi maestri lagunari – apripista dunque per quella “pittura tonale” dolce e umana che caratterizzò il Rinascimento veneto.

Nacque nel 1430 circa a Messina da Giovanni de Antonio, e da Garita (verosimilmente Margherita).[1] Il suo primo apprendistato si svolse probabilmente tra Messina e Palermo anche se recenti studi dimostrano la presenza quasi certa del pittore ad Alcamo. Infatti, dal riordino di alcuni documenti notarili del Quattrocento, pare che Antonello da Messina, all’età di 15 anni, abbia accettato un contratto di garzonato con il maestro conciatore di pelli Guglielmo Adragna d’Alcamo. Il contratto stipulato presso il notaio Ruggero Galanduccio porta la data del 2 settembre 1438: il giovane “Antonellus de Missana” si impegna a lavorare per tre anni e ad apprendere l’arte del pellizzaro. È nota la presenza nel trapanese di diversi pittori messinesi che operavano in quel periodo, come Giovanni da Messina che nel 1411 dipinse a Trapani un’icona per il notaio Giovanni de Jordano, ed altre opere furono realizzate da un certo Pietro da Messina. Inoltre, sempre attraverso un documento notarile datato 6 maggio 1438, in un testamento del notaio Salvatore di Noto si parla dell’esecuzione di un dipinto in una Chiesa di Mazara da parte di un Antonello da Messina non più in qualità di pellizzaro ma di pittore. Fu un pittore molto legato ai dipinti fiamminghi, soprattutto quelli provenienti da Bruges e Bruxelles, da dove prese la tecnica della pittura ad olio e l’attenzione per i dettagli.

Intorno al 1450 circa fu a Napoli, dove secondo la testimonianza di Pietro Summonte in una lettera a Marcantonio Michiel, era apprendista nella bottega del pittore Colantonio.[2][3] Qui venne in contatto con la pittura fiamminga, spagnola e provenzale, presente sia nelle collezioni reali sia nell’esempio tangibile di artisti stranieri operanti nella corte angioina prima e, dal 1442, in quella aragonese poi. All’Antonello di questo periodo vengono attribuite dieci tavolette con Beati francescani realizzate per la pala dipinta da Colantonio per la chiesa di San Lorenzo Maggiore.[2]

La cosiddetta Crocifissione di Sibiu, del 1460 circa e conservata al Muzeul de Artă di Bucarest, inaugurò forse uno dei temi base della sua produzione, quella del martirio di Cristo. Quest’opera riprese iconograficamente i Calvari fiamminghi, in particolare nella parte bassa della tavola; mentre nella parte superiore, in cui la disposizione ortogonale di Cristo e dei ladroni determina una tangibile scatola spaziale, dimostra un’attenta conoscenza delle volumetria spaziale italiana. Roberto Longhi riteneva che la parte superiore della tavola di Bucarest fosse stata aggiunta qualche anno dopo, poiché le due matrici culturali tipiche del messinese, fiamminga e italiana, sono qui solamente accostate e non fuse. È invece del 1475 la Crocifissione di Anversa, conservata al Musée Royal de Beaux-Arts de Anvers.

Prime commissioni
Ritratto d’Ignoto
Museo Mandralisca, Cefalù
Al 1457 risalì la prima commissione come maestro autonomo: un gonfalone per la confraternita di San Michele dei Gerbini a Reggio Calabria, imitante quello eseguito per la confraternita messinese di San Michele a Messina. Entrambe le opere sono perdute. A questa data sappiamo che l’artista era già sposato con Giovanna Cuminella (vedova con figlia, Caterinella) e probabilmente già padre di Jacobello.

Nel 1460 il padre noleggiò un brigantino per andare a riprendere Antonello e la sua famiglia, i servi e le masserizie ad Amantea, una località calabrese. Forse l’artista tornava o da un periodo di lavoro in Calabria, o da un viaggio più lungo. Al 1460 circa gli viene attribuita l’esecuzione della cosiddetta Madonna Salting, in cui l’iconografia e lo stile fiammingo sono uniti a una maggiore attenzione alla costruzione volumetrica delle figure, derivata da Piero della Francesca mediato forse dall’opera di Enguerrand Quarton. Dopo il 1460 si collocano le due tavolette di Reggio Calabria con la Visita dei tre angeli ad Abramo e San Girolamo penitente nel deserto, esposte alla Pinacoteca civica.

Nel 1461 nella sua bottega entrò come apprendista il fratello minore Giordano, stipulando un contratto triennale. Nello stesso anno Antonello dipinse per il nobile messinese Giovanni Mirulla una perduta Madonna col Bambino.

Tra il 1465 e il 1470 circa realizzò il Ritratto d’Ignoto di Cefalù del Museo Mandralisca di Cefalù. Nei ritratti Antonello, a differenza degli italiani che utilizzavano la posa medaglistica di profilo, adottò la posizione di tre quarti, tipicamente fiamminga, che permetteva una più minuta analisi fisica e psicologica. Rispetto ai fiamminghi guardò meno al dettaglio e più alla caratterizzazione psicologica e umana degli effigiati. Lo schema compositivo di questo ritratto venne confermato nei ritratti successivi: il personaggio è inserito in uno sfondo scuro con il busto tagliato sotto le spalle, testa girata verso destra mentre gli occhi guardano direttamente lo spettatore, cercando un contatto mentale con lui; la luce illumina il lato destro del volto mentre il lato sinistro è in ombra. Nei ritratti successivi dispose sempre uno zoccolo di marmo in basso (un parapetto) con un cartiglio dipinto che riporta firma e data, tipico elemento fiammingo.

Innegabili sono i rimandi di Antonello ad artisti quali Petrus Christus, Hans Memling e Jean Fouquet. Riguardo al primo alcuni hanno trovato tracce di una possibile conoscenza diretta tra i due, rilevando i loro presumibili nomi tra gli stipendiati di una medesima battaglia. In particolare Antonello fu uno dei primi artisti italiani ad usare la tecnica a olio, che permetteva di stendere il colore in successive velature trasparenti, ottenendo effetti di precisione, morbidezza e luminosità impossibili con la tempera.